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martedì 26 novembre 2013



http://it.wikipedia.org/wiki/File:Prisca.jpg
autore:Strambini Gloria
È permesso copiare, distribuire e/o modificare questo documento in base ai termini della GNU Free Documentation License, Versione 1.2 o successive. 

FONTE IMMAGINE, dove trovare anche informazioni sul gatto persiano: 

LA PET THERAPY


This is a file from the Wikimedia Commons. This file is licensed under the Creative Commons Attribution 2.0 Generic license.
This image, originally posted to Flickr, was reviewed on 18:40, 11 June 2010 (UTC) by the administrator or reviewer Electron, who confirmed that it was available on Flickr under the stated license on that date. 

Questo post potrebbe apparire insolito, rispetto a quelli precedenti.. Ma adoro gli animali, e credo che possano essere un vero e proprio strumento educativo e ri-educativo, oltre che fonte di compania e di grande amicizia. Perchè un animale non ci giudica per il colore della pelle, per le nostre misure, per le nostre abilità, per ciò che ci manca. Un animale è lì, semplicemente per essere con noi e condividere con noi qualche gioco, qualche carezza, qualche bocconcino. Ecco perchè vorrei parlarvi della pet therapy.

Come e quando nasce la Pet Therapy?
La Pet Therapy nasce nel 1953 in America ad opera del neuropsichiatra Boris Levinson, quando, un suo piccolo paziente autistico, chiamò per nome il suo cane, egli comprese che, grazie a quell'animale, il bambino era stato in grado di proiettare le proprie sensazioni all'esterno. Da allora iniziò studiare vari casi con l'aiuto del suo fedele amico, fino a coniare il termine Per Therapy nel 1963. Questa terapia, che deve essere affiancata a quella medica, garantisce uno scambio di emozioni e stimoli tra la persona e l'animale, tale da provocare cambiamenti ed effetti positivi da entrambe le parti.

A chi si rivolge la pet therapy?
Questo aiuto è rivolto a persone con disabilità fisiche (morbo di Parkinson, paralisi e sclerosi multipla), disordini dello sviluppo, (sindrome di Down e autismo), disturbi psichiatrici(schizofrenia, depressione, disordini alimentari), problemi di udito e vista, anziani, malati terminali, bambini. Non tutti gli animali sono adatti per la Pet Therapy, tra i più utilizzati troviamo cani, gatti, conigli, cavalli, asini, delfini e pappagalli. Il contatto con questi animali è funzionale al miglioramento fisico, infatti, favorisce l'abbassamento della pressione sanguigna, il rallentamento del battito cardiaco e sopperisce ad alcune mancanze motorie e sensoriali, garantisce la stimolazione mentale grazie al gioco e alla comunicazione tra uomo e animale, facilita l'interazione con altre persone, la socializzazione e lo sviluppo delle responsabilità, ma, soprattutto, si crea un legame speciale tra animale e uomo.  
(A mio parere, avere un animale vicino, che sia un cane, un gatto, un criceto o un cavallo, è comunque un'esperienza unica, che ci da calore, affetto e ci insegna a prenderci cura di qualcun altro ed è utile a tutti). 


 

lunedì 25 novembre 2013

DISCALCULIA

La DISCALCULIA è un disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche, e può associarsi alla dislessia.




http://imparareletabelline.altervista.org/la-discalculia-cose-e-come-diagnosticarla/



Errori:
-Lessicali= dico 13 ma scrivo 31
-Sintattici= dico 103 ma scrivo 100 3
-Procedurali= non saper fare le operazioni in colonna correttamente, non saper da dove partire, da dove proseguire..
-Nell'applicazione di strategie= tappa alla decina, contare solo cn le mani.. si presentano sopratutto nel calcolo orale.
-nel recupero dei fatti aritmetici=tabelline, operazioni entro il 10..
-difficoltà visuo-spaziali= incapacità nell'incolonnare correttamente le operazioni.

domenica 24 novembre 2013

DISGRAFIA

La DISGRAFIA è legata al momento-atto motorio esecutivo della scrittura, alla realizzazione grafica dei segni.


http://www.bollatesecondocircolo.org/DSA/disg.html
 
Si guarda alle caratteristiche della scrittura:
-corpo della lettera
- asole
-occhielli
-aste
-filetto

sabato 23 novembre 2013

DISORTOGRAFIA

http://www.chiaradepra.it/disortografia.asp
(http://www.chiaradepra.it/disortografia.asp)


La DISORTOGRAFIA é un disturbo della scrittura, con presenza di errori ortografici,fonologici, semantico-lessicali significativamente superiori per numero e caratteristiche rispetto a quelli aspettabili in riferimento all'età, grado di istruzione e la consuetudine alla scrittura del soggetto.

Negli elaborati scritti possono presentarsi diversi errori:
-Errori fonologici: errori di sostituzione, aggiunta o scambio di grafemi e fonemi simili (S-Z, D-B, F-v, P-Q).
-Errori ortografici: Fogia al posto di Foglia.. riguarda le parole con Ghe, Gl..
-Errori semantico- lessicali: scrivere l'una o luna? Loro o l'oro?ec..

«Non c'è nulla che sia più ingiusto 

quanto far parti uguali fra disuguali»

cit. Don Lorenzo Milani

 

 
(Facebook)

venerdì 22 novembre 2013

DISLESSIA

(fonte: immagini personali)

In qualche post precedente ho parlato dei DSA, e ora vorrei iniziarvi a spiegare quali sono, dedicando a ciascuno un post.

La DISLESSIA è un DSA su base linguistica, caratterizzato da difficoltà nella decodifica di singole parole. Non è attribuile a un disturbo generalizzato dello sviluppo o a una menomazione sensoriale; è di origine neurobiologica.
La dislessia può, o meno, associarsi a uno degli altri DSA.


Caratteristiche dei ragazzi con dislessia:
-QI nella norma
-Lettura ad alta voce stentata
-Difficoltà ortografiche nella scrittura
-Difficoltà nel sistema del numero e del calcolo

Sul sito dell'AID (associazione italiana dislessia) potete trovare tanti informazioni utili!


giovedì 21 novembre 2013

Rappresentazione Enattiva
I bambini che non sanno allacciarsi le scarpe, ma insegnano ai loro genitori 'utilizzo della tecnologia
When using this picture please credit with 'Picture by Hay Kranen / PD'. This is a public domain picture, so attribution is kindly requested, but not compulsory.
Ormai gran parte dei bambini, anche di pochi anni, riesce ad utilizzare con apparente disinvoltura il sistema touchscreen dello smartphone o del tablet.
Secondo lo psicologo Jerome Bruner è tutto merito della cosiddetta capacità di rappresentazione enattiva: nei primi anni di vita i bambini non classificano gli oggetti del mondo con parole o simboli, ma con le funzioni per cui vengono utilizzati, e i gesti compiuti solitamente nel corso del loro utilizzo
Le loro mani divengono il prolungamento dei loro pensieri. I bambini, dunque, hanno meno difficoltà a muoversi tra le molteplici opportunità tecnologiche (e talvolta insegnano ai loro genitori a farlo), mentre possono avere difficoltà nell'imparare ad allacciarsi le scarpe o ad andare in bicicletta, oppure ancora non sanno parlare correttamente!
 


mercoledì 20 novembre 2013

De-contestualizzare

"Prendiamo uno strumento di didattica ordianria, collochiamolo in modo tale che ciò che è scompaia, e assuma un nuovo titolo.. un nuovo punto di vista! Creiamo un nuovo modo di pensare la didattica stessa.."


(The original Fountain by Marcel Duchamp, 1917, photographed by Alfred Stieglitz at the 291 (Art Gallery) after the 1917 Society of Independent Artists exhibit. Stieglitz used a backdrop of The Warriors by Marsden Hartley to photograph the urinal. The exhibition entry tag can be clearly seen.[1])


questa immagine ci dimostra come un urinatoio, estrapolato dal contesto "Gabinetto", possa diventare una fontana!
Noi educatori e i DSA

In un post precedente ho parlato dei DSA. Ma gli educatori? Come si confrontano con questi disturbi?
Gli educatori possono incontrare i DSA in diverse occasioni:
-Nel sostegno ai compiti a casa
-nel sostegno ai compiti in un centro pomeridiano
-Nell'essere insegnante di sostegno ad un bambino che ad esempio è iperattivo e dimostra poi avere anche DSA (perchè come già detto, la legge 170 sui DSA non prevede un insegnante di sostegno per questi disturbi).

Gli educatori devono ripensarsi, devono conoscere i DSA e ciò che implicano. Dovrebbero conoscere una molteplicità di strumenti e di software da poter utilizzare con i bambini, e vedere quale è il più adatto alle circostanze ed esigenze. Infatti gli strumenti devono essere personalizzati, ed è necessario che il bambino/ragazzo ne accetti l'utilizzo (alcuni potrebbero rifiutarli per paura di essere esclusi o discriminati dai compagni).  Importante è leggere il PDP, riconoscere fattori di rischio e protettivi e instaurare una relazione di fiducia con il bambino. Il nostro obiettivo è rendere il bambino maggiormente autonomo nelle sue attività.

Gli educatori sono dei Mediatori importantissimi!
Con il termine mediatori intendiamo: educatori, strumenti didattici, il contesto. I mediatori devono essere plurali e collegarsi ai contesti di vita e le competenze dei soggetti. I mediatori non fanno paura, sono multimodali, sono una sicurezza ed un invito a rischiare.
Progettare è il primo mediatore. Insegnante ed educatori devono avere competenze professionali ma anche la capacità di progettare, essere nel progetto e crearlo.

L'altro è un orizzonte di scoperta, pluralità e possibilità.

(immagine presa da archivio personale)



lunedì 18 novembre 2013


Un Momento Di Riflessione...





(dalla pagina facebook "tra genio e follia")









domenica 17 novembre 2013

Cosa sono i DSA?

Sono riconosciuti dalla legge 170 del 2010. Non sono dunque  BES e nemmeno difficoltà, handicap o deficit (invece riconosciuti dalla legge 140/92). Un soggetto con DSA solitamente ha un QI nella norma, e non ha per legge bisogno di un insegnante di sostegno. Se un educatore è chiamato a fare l'insegnante di sostegno per un bambino è per altri motivi: disturbi di attenzione, iperattività ec.. ma non per DSA, seppure quel bambino potrebbe averne necessità da quel lato. Però, scuola e famiglia, possono richiedere degli ausili per facilitare un normale svolgimento delle attività quotidiane per chi ha questi disturbi.



I DSA permangono tutta la vita, e comportano una compromissione delle abilità mentali e la mancanza di automatismi. Ciò comporta un impiego di energie maggiori, e l'attenzione ben presto può essere minata dalla fatica. Inoltre c'è da considerare il gradiente emotivo, perchè è ben noto che le nostre emozioni possono influenzare gli esiti di una prova (ex. ansia, paura, stress..). Un gradiente emotivo influenzato anche dall'utilizzo di ausili (ex. computer): i bambini/ragazzi potrebbero non volerli usare per paura di essere discriminati.

I DSA non sono pigrizia, vagabondaggine, creatività, QI elevato, patologie guaribili ec..
ma SONO/PRODUCONO:
-difficoltà nella decodifica
-difficoltà nella motricità
-difficoltà negli automatismi

fondamentale è dunque una DIAGNOSI PRECOCE per individuarne la presenza!Viene fatta dalle ASL, ma i tempi sono spesso molto lunghi, così i genitori che possono, economicamente, permetterselo si rivolgono a strutture/specialisti riconosciute/i.

Vi lascio un altro video..

Stelle sulla terra..

Se vi è capitato di leggere il post che funge da introduzione al mio blog  Educando-si! avrete notato come inizialmente la mia idea era quella di parlare dei DSA o disturbi specifici dell'apprendimento. Alla fine ho deciso di modificare il tema e ampliare un po' gli orizzonti, ma ci terrei comunque a parlarvi di questi disturbi.
L'idea nasce da un laboratorio universitario che a breve terminerò, tenuto dalla professoressa E.Malaguti e dalla professoressa C.Fabbri, proprio su questi temi, per insegnarci a conoscerli e ad applicare degli strumenti che possano facilitare lo studio sia di chi ha i disturbi e di chi non li ha. Vi lascio alla visione di questo simpatico video prima di approfondire l'argomento..

Durante la prima lezione abbiamo visto una scena di un film "Stelle sulla terra"(Taake Zaamen Par) , dove un professore parla ai suoi alunni di alcuni personaggi della storia umana, e di come questi, nonostante le difficoltà legate ai disturbi, siano diventati grandi punti di riferimento per il sapere.



i sette saperi



I sette saperi 
necessari all'educazione del futuro


Come promesso, ecco a voi il post in cui vi parlerò del volume "I sette saperi" (2000), il terzo di quella trilogia pedagogica composta da "Relier les connaissances"(1°) e "La testa ben fatta" (2°).

I sette saperi è stato il primo libro che ho letto di E.Morin e non vi dico quale tortura e "rottura" sia stato la prima volta, per di più sapendo che avrei dovuto affrontare un bellissimo compito in classe sul testo, di cui inizialmente non avevo capito proprio nulla. Sarà che ero più piccola,  che frequentavo la II liceo, sarà che lo lessi in maniera superficiale.. ma alla fine, col tempo, sentendolo nominare in ogni singola lezione in classe, iniziai ad apprezzarne e comprenderne a fondo i contenuti e mi sono appassionata al pensiero di Morin.
Ma non parliamo di me, andiamo direttamente al volume.

"Questo volume non tratta delle materie che sono, o che dovrebbero, essere insegnate: vuole esporre essenzialmente sette problemi fondamentali, tanto più necessari da insegnare in quanto sono attualmente ignorati o dimenticati" (Pag 7 Prologo)



Capitolo 1. Le cecità della conoscenza: l’errore e l’illusione
  • E sorprendente che l’educazione, che mira a comunicare conoscenze, sia cieca su ciò che è la conoscenza umana, su ciò che sono i suoi dispositivi, le sue menomazioni, le sue difficoltà, le sue propensioni all’errore e all’illusione, e che non si preoccupi affatto di far conoscere che cosa è conoscere.
  • In effetti, la conoscenza non può essere considerata come un attrezzo ready made, che si può utilizzare senza esaminarne la natura. Così, la conoscenza della conoscenza deve apparire come una necessità primaria, volta a preparare e ad affrontare i rischi permanenti d’errore e d’illusione, che non cessano di parassitare la mente umana. Si tratta di armare ogni mente nel combattimento vitale per la lucidità.
  • È necessario introdurre e potenziare nell’insegnamento lo studio dei caratteri cerebrali, mentali, culturali della conoscenza umana, dei suoi processi e delle sue modalità, delle disposizioni psichiche e culturali che la inducono a rischiare l’errore o l’illusione.
Capitolo 2. I principi di una conoscenza pertinente
  • E necessario promuovere una conoscenza capace di cogliere i problemi globali e fondamentali per inscrivere in essi le conoscenze parziali e locali. Questo è un problema capitale e sempre misconosciuto.
  • La supremazia di una conoscenza frammentata nelle diverse discipline rende spesso incapaci di effettuare il legame tra le parti e le totalità, e deve far posto a un modo di conoscere capace di cogliere gli oggetti nei loro contesti, nei loro complessi, nei loro insiemi.
  • E necessario sviluppare l’attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. È necessario insegnare i metodi che permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti e il tutto in un mondo complesso.
Capitolo 3. Insegnare la condizione umana
  • L’essere umano è nel contempo fisico, biologico, psichico, culturale, sociale, storico. Questa unità complessa della natura umana è completamente disintegrata nell’insegnamento, attraverso le discipline. Oggi è impossibile apprendere ciò che significa essere umano, mentre ciascuno, ovunque sia, dovrebbe prendere conoscenza e coscienza sia del carattere complesso della propria identità sia dell’identità che ha in comune con tutti gli altri umani.
  • La condizione umana dovrebbe, così, essere oggetto essenziale di ogni insegnamento.
  • Questo capitolo indica come sia possibile, a partire dalle discipline attuali, riconoscere l’unità e la complessità dell’essere umano riunendo e organizzando le conoscenze disperse nelle scienze della natura, nelle scienze umane, nella letteratura e nella filosofia, e come sia possibile mostrare il legame indissolubile tra l’unità e la diversità di tutto ciò che è umano.
Capitolo 4. Insegnare l’identità terrestre
  • Il destino ormai planetario del genere umano è un’altra realtà fondamentale ignorata dall’insegnamento. La conoscenza degli sviluppi dell’era planetaria e il riconoscimento dell’identità terrestre devono divenire uno dei principali oggetti dell’insegnamento.
  • È opportuno insegnare la storia dell’era planetaria, che inizia nel XVI secolo con la comunicazione fra tutti i continenti, e mostrare come tutte le parti del mondo siano divenute intersolidali, senza tuttavia occultare le oppressioni e le dominazioni che hanno devastato e ancora devastano l’umanità.
  • Si dovrà indicare il complesso di crisi planetaria che segna il XX secolo, mostrando come tutti gli esseri umani, ormai messi a confronto con gli stessi problemi di vita e di morte, vivano una stessa comunità di destino.
Capitolo 5. Affrontare le incertezze
  • Le scienze ci hanno fatto acquisire molte certezze, ma nel corso del XX secolo ci hanno anche rivelato innumerevoli campi d’incertezza. L’insegnamento dovrebbe comprendere un insegnamento delle incertezze che sono apparse nelle scienze fisiche (microfisica, termodinamica, cosmologia), nelle scienze dell’evoluzione biologica e nelle scienze storiche.
  • Si dovrebbero insegnare principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto, e di modificarne l’evoluzione grazie alle informazioni acquisite nel corso dell’azione. Bisogna apprendere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza.
  • La formula del poeta greco Euripide, antica di venticinque secoli, è più attuale che mai: “L’atteso non si compie, all’inatteso un dio apre la via”. L’abbandono delle concezioni deterministe della storia umana, che credevano di poter predire il nostro futuro, l’esame dei grandi eventi del nostro secolo che furono tutti inattesi, il carattere ormai ignoto dell’avventura umana devono incitarci a predisporre la mente ad aspettarsi l’inatteso per affrontarlo. E necessario che tutti coloro che hanno il compito di insegnare si portino negli avamposti dell’incertezza del nostro tempo.
Capitolo 6. Insegnare la comprensione
  • La comprensione è nel contempo il mezzo e il fine della comunicazione umana. Ora, l’educazione alla comprensione è assente dai nostri insegnamenti. Il pianeta ha bisogno in tutti i sensi di reciproche comprensioni. Data l’importanza dell’educazione alla comprensione, a tutti i livelli educativi e a tutte le età, lo sviluppo della comprensione richiede una riforma delle mentalità. Questo deve essere il compito per l’educazione del futuro.
  • La reciproca comprensione fra umani, sia prossimi che lontani, è ormai vitale affinché le relazioni umane escano dal loro stato barbaro di incomprensione.
  • Di qui la necessità di studiare l’incomprensione, nelle sue radici, nelle sue modalità e nei suoi effetti. Tale studio sarebbe tanto più importante in quanto verterebbe non sui sintomi, ma sulle radici dei razzismi, delle xenofobie, delle forme di disprezzo. Costituirebbe nello stesso tempo una delle basi più sicure dell’educazione alla pace.
Capitolo 7. L’etica del genere umano
  • L’insegnamento deve produrre una “antropo-etica” capace di riconoscere il carattere ternario della condizione umana, che consiste nell’essere contemporaneamente
 In questo senso, l’etica individuo «-» specie richiede un reciproco controllo della società da parte dell’individuo e dell’individuo da parte della società, ossia la democrazia; l’etica individuo «-» specie nel XXI secolo richiede la solidarietà terrestre.
  • L’etica deve formarsi nelle menti a partire dalla coscienza che l’umano è allo stesso tempo individuo, parte di una società, parte di una specie. Portiamo in ciascuno di noi questa triplice realtà. Così, ogni sviluppo veramente umano deve comportare il potenziamento congiunto delle autonomie individuali, delle partecipazioni comunitarie e della coscienza di appartenere alla specie umana.
  • A partire da ciò si profilano le due grandi finalità etico-politiche del nuovo millennio: stabilire una relazione di reciproco controllo fra la società e gli individui attraverso la democrazia; portare a compimento l’Umanità come comunità planetaria. L’insegnamento deve non solo contribuire a una presa di coscienza della nostra Terra-Patria, ma anche permettere che questa coscienza si traduca in volontà di realizzare la cittadinanza terrestre.


(fonte http://www.riflessioni.it/testi/sette-saperi-necessari-morin.htm)
La testa ben fatta
Riforma dell'insegnamento e riforma di pensiero

copertina
Uno dei libri che ho molto apprezzato di Edgar Morin, è "La Tête bien faite" (1999) che fa parte di una trilogia pedagogica costituita da: "Relier les connaissances"(primo volume, 1999); "La Tête bien faite" (secondo volume, 1999) ed infine" Les Sept savoirs nécessaires à l'éducation du futur" (2000). 

Di questa trilogia non ho ancora letto il primo volume, ma ritengo comunque interessante condividere con voi le informazioni, utili e stimolanti, presenti negli ultimi due libri, che invece ho letto, e che spero abbiate anche voi occasione di sfogliare e siate incuriositi a farlo, dopo aver letto questo post.

Parlare di una testa ben fatta è ben diverso dal parlare di una testa(ben)piena: infatti lo scopo dell'autore, secondo il mio parere, è quello di sottolineare come, in genere, si miri a far acquisire il maggior numero di contenuti possibili(ex: a scuola) piuttosto che insegnarci a  gestirli, connetterli, rielaborarli, organizzarli, sviluppare un metodo di studio efficiente ed efficace... Una testa piena di contenuti, infatti, è anche una testa piena di confusione (molto spesso): é dunque fondamentale imparare  a trattatare/organizzare la molteplicità di contenuti che ci bombardano all'interno di una rete di pensiero che li interconnetta, invece di rinchiuderli in "cassettini/scompartimenti" indipendenti tra loro. Per farlo il nostro pensiero deve superare la semplicità, la rigidità e il meccanicismo riduttivo  ed imparare ad essere aperto, flessibile, dinamico e complesso (da complexus=tessuto insieme). Dunque, è necessario cercare di considerare la molteplicità di piani di cui è composta la realtà, e imprare a tenere insieme anche ciò che apparentemente insieme non sta (pensiero dialogico).

Ma ora passiamo direttamente ai contenuti del libro ((fonte http://www.pavonerisorse.it/intercultura/2000/testa_benfatta.htm)




Il testo è appare una meditazione che si avvolge attorno a tre frasi, una di Eliot, una di Pascal ed una di Montaigne.

-Eliot:: "Dov’è la conoscenza che perdiamo nell’informazione? Dov’è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?"
-Pascal: "Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate ed adiuvanti, mediate ed immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lantane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere il tutto?"
-Montaigne: "E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena".

E’ la sfida della ipercomplessità, la sfida di una terra divenuta per ogni uomo comunità di destino anche se ognuno di noi fa una enorme fatica a percepire che "tutto si connette", che tutto è tessuto insieme.


cap 1: Le sfide
Secondo Morin l’insegnamento/educazione è oggi di fronte a tre sfide:
  1. La sfida culturale dove si confronta sapere umanistico (che affronta la riflessione sui fondamentali problemi umani e favorisce l’integrazione delle conoscenze) e la cultura tecnico-scientifico (che separa i campi, suscita straordinarie scoperte ma non una riflessione sul destino umano e sul divenire della scienza stessa)
  2. La sfida sociologica: l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve integrare e padroneggiare; la conoscenza deve essere costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero; il pensiero è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società
  3. La sfida civica Il sapere è diventato sempre più esoterico (accessibile ai soli specialisti) e anonimo (quantitativo e formalizzato). Si giunge così all’indebolimento del senso di responsabilità (poiché ciascuno tende ad essere responsabile solo del proprio compito specializzato) ed all’indebolimento della solidarietà (poiché ciascuno percepisce solo il legame organico con la propria città e i propri concittadini). Siamo cioè di fronte ad un deficit democratico.
Raccogliere queste sfide significa procedere ad una "riforma dell’insegnamento che deve condurre alla riforma di pensiero e la riforma di pensiero deve condurre a quella dell’insegnamento" (pag. 13). Una proposta non programmatica ma paradigmatica.


cap 2: La testa ben fatta
Ma come è una testa ben fatta? Morin sostiene che una tale testa è caratterizzata non dall’accumulo del sapere quanto piuttosto dal poter disporre allo stesso tempo di:
a) una attitudine generale a porre e a trattare i problemi
b) principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso.

La testa ben fatta va dunque al di là del sapere parcellizzato (e quindi al di là delle "discipline") riconnettendo sapere umanistico e sapere scientifico, mettendo fine alla separazione fra le due culture consentendo così di rispondere alle sfide poste dalla globalità e dalla complessità delle vista quotidiana, sociale, politica, nazionale e mondiale.Si tratta cioè di "far convergere (sull’uomo) le scienze naturali, le scienze umane, la cultura umanistica e la filosofia nello studio della condizione umana. Allora si potrebbe giungere a una presa di coscienza della comunità di destino propria della nostra condizione planetaria, in cui tutti gli umani sono messi a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali" (pag. 44).Si tratta di apprendere a vivere, di apprendere a trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in sapienza. E apprendere a vivere significa affrontare l’incertezza (attrezzarsi - direbbe Salvatore Natoli - per dominare il caso, per portarsi all’altezza dell’improbabile rinunciando ad ogni pretesa di totalità disponendoci al viaggio, al transitare).E apprendere a vivere è, da ultimo, apprendere a diventare cittadini, e cittadini "glo-cali": cittadini del proprio villaggio ma anche contemporaneamente del mondo fattosi villaggio.Le proposte di Morin sono molteplici, espresse sempre con lucidità e poesia. Ad esempio:  per imparare a vivere nell’incertezza?

  1. Praticare un pensiero che si sforzi di contestualizzare e globalizzare le informazioni e le conoscenze
  2. Utilizzare non il programma e la programmazione ma la strategia. La programmazione determina infatti a priori una sequenza di azioni in vista di un obiettivo mentre la strategia prefigura scenari di azione e ne sceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce di un ambiente incerto (si veda, al riguardo lo stupendo volume dedicato anni fa da Gabriele Boselli alla Postprogrammazione - La Nuova Italia).
  3. La scommessa: la strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e comporta perciò una scommessa. Essa deve essere pienamente cosciente della scommessa, in modo da non cadere in una falsa certezza.
cap 3: Il pensiero che interconnette
Si tratta dunque di coltivare il pensiero che connette e interconnette secondo sette principi:

  1. Il principio sistemico (il tutto è più della somma delle parti)
  2. Il principio ologrammatico (sembra un paradosso ,a le organizzazioni complesse evidenziano anche che il tutto è iscritto nella parte)
  3. Il principio della retroazione (feedback) che rompe lo logica della causalità lineare
  4. Il principio dell’anello ricorsivo (gli uomini producono la società mediante le loro interazioni, ma la società in quanto globalità emergente produce l’umanità di questi individui portando loro il linguaggio e la cultura)
  5. Il principio dell’autonomia/dipendenza (gli umani sviluppano la propria autonomia dipendendo dalla cultura)
  6. Il principio dialogico (che unisce i principi che a prima vista paiono elidersi a vicenda: vita/morte; ordine/disordine...)
  7. Il principio della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza.
Secondo Morin la riforma del pensiero è anche riforma "etica": del resto il pensiero che connette, proprio perché connette, è anche un pensiero ed una azione solidale: "Un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle conoscenze separate è capace di prolungarsi in una etica di interconnessione e di solidarietà fra umani" (pag. 101).

Il mestiere (e l’arte) dell’insegnare (cap 9)
Quale insegnante è prefigurato da questo mutamento di paradigma? Morin ne traccia un preciso identikit.I tratti essenziali dell’insegnante sono (pag. 106):
  1. Fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali;
  2. Preparare le menti a rispondere alle sfide che la crescente complessità dei problemi pone alla conoscenza umana;
  3. Preparare le menti ad affrontare l’incertezza favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore
  4. Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani
  5. Insegnare l’affiliazione (a partire dal proprio villaggio sino al villaggio globale)
  6. Insegnare la cittadinanza terrestre come comunità di destino dove tutti gli umani sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali
Sono questi i punti necessari per uscire dal pensiero chiuso e parcellizzato, ripiegato su se stesso, sul proprio sempre più minuscolo pezzetto di puzzle.
E qui sta anche il ruolo chiave della riforma del pensiero e dell’insegnamento: si tratta di una necessità democratica. Formare cittadini capaci di affrontare i problemi del loro tempo; frenare il deperimento democratico che è suscitato in tutti i campi delle politica dell’espansione dell’autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi che limita  progressivamente la competenza dei cittadini.

Il libro prosegue con molti altri capitoli... Se vi siete incuriositi, correte subito ad acquistarlo (12euro) oppure prenotatelo in biblioteca, e scoprite anche il resto.. non rimarrete delusi!


A breve un post sull'ultimo testo della trilogia...